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CHE INDICAZIONI HA?
L’amniocentesi presenta indicazioni che possono essere differenti a seconda dell’epoca di gravidanza nella quale la si esegue. Conviene pertanto dividerla in precocissima, precoce e tardiva.
Amniocentesi precocissima
La sempre maggiore richiesta di ottenere risposte citogenetiche precoci ha indotto, negli ultimi anni, ad eseguire il prelievo del liquido amniotico sempre più precocemente. Ciò anche in relazione alla possibilità che il prelievo del liquido amniotico in epoca inferiore alla 15a settimana di gestazione si ponesse come una valida alternativa al prelievo dei villi coriali. Tale procedura, almeno agli inizi della sua introduzione clinica, era gravata da un maggior rischio abortivo ed è tutt’ora innegabilmente caratterizzata da una più alta incidenza di insuccessi diagnostici, o per mancata coltura o per errori di genere tecnico. Le prime esperienze si ebbero in particolare ad opera di studiosi statunitensi. Negli U.S.A. infatti la Food and Drug Administration aveva, già dall’inizio dell’introduzione della villocentesi, ristretto molto il numero dei Centri, sia pubblici che privati, abilitati a tale procedura. Ciò ha condotto molti Clinici ad adoperarsi al fine di ottenere una valida alternativa alla villocentesi in termini di precocità di diagnosi.
In effetti, attualmente, in relazione ai possibili rischi malformativi della villocentesi prima delle 7/8 settimane di gestazione, tale procedura viene solitamente eseguita alla 9^/10^ settimana. E se a questo aggiungiamo gli altri 15 gg di tempo necessario alla coltura dei villi (poiché spesso la lettura diretta fallisce o lascia dubbi), si arriva così, spesso, ad ottenere il risultato solo intorno alla 12^/13^ settimana. Pertanto, se il prelievo del L.A. si anticipasse opportunamente, la differenza temporale risulterebbe così piccola da rendere assolutamente preferibile la amniocentesi in termini di precocità, di accuratezza e di rischio.
Si pongono però due problematiche.
La prima relativa alla possibilità di ottenere in epoche precoci una quantità e una qualità di cellule amniotiche tale da rendere comunque possibile la coltura citogenetica, la seconda riconducibile ad un possibile maggior rischio abortivo della metodica.
Per quel che concerne il materiale prelevato, la coltura abbisogna di una sufficiente cellularità; la quantità minima di liquido richiestoci, non deve essere inferiore ai 10 ml. Ciò in considerazione della differente percentuale di cellule presenti nei diversi liquidi prelevati non solo in ragione dell’epoca di prelievo ma anche in relazione ad una ampia variabilità individuale.
In merito al rischio specifico, la letteratura ritiene che per le amniocentesi eseguite intorno alla 14^ settimana il rischio abortivo è sovrapponibile a quello delle amniocentesi della 17^ settimana. Dalle casistiche delle amniocentesi eseguite prima della 14^ settimana, si deduce che tra la 10^ alla 12^ non si hanno informazioni specifiche anche perchè in tali settimane vi è comunque un alto rischio generico abortivo di difficile computo nel calcolo del rischio relativo.
Per quel che concerne il rischio rispetto alla biopsia dei villi coriali l’amniocentesi intorno alla 14^ settimana sembrava, all’inizio, meno pericolosa. L’attuale miglioramento della tecnica del prelievo dei villi ha ridotto al minimo la differenza di rischio tra le due tecniche.
La nostra esperienza porta a concludere che l’amniocentesi intorno alla 14^ settimana è lievemente meno rischiosa della villocentesi (0.2 aborti su 100 procedure).
La percentuale di fallimenti di coltura è equivalente all’amniocentesi precoce (1 caso su 300).
La percentuale di errori diagnostici è la medesima (inferiore ad 1 caso su 1000 colture) qualora la biopsia dei villi consenta una lettura diretta degli stessi. La percentuale di errori è sensibilmente più alta per le villocentesi nelle quali sia necessario eseguire la coltura dei villi.
Per quel che concerne l’amniocentesi praticata prima della 12^ settimana la nostra casistica è troppo limitata per poter eseguire confronti numerici significativi. La sensazione tratta dall’esperienza clinica sembra comparare i due rischi (0.5 % di aborti).
L’indicazione specifica dell’amniocentesi intorno alla 14^ settimana risulta quindi essere quella citogenetica. Si tratta quindi di una accettabile alternativa al prelievo dei villi coriali rispetto ai quali risulta gravata da un ridotto rischio abortivo. Per quel che concerne la precocità della risposta, a conti fatti, questa è ritardata sempre di circa un mese, rispetto alla coltura dei villi coriali, e di ben 6 settimane se la villocentesi permette una diagnosi per lettura diretta.
L’indicazione specifica dell’amniocentesi intorno alla 11^ settimana rimane quella citogenetica, in alternativa alla villocentesi. I risultati diagnostici ritardano circa 2/3 settimane rispetto ai tempi medi di risposta di una villocentesi. Il rischio sembra però sovrapponibile. Anche la percentuale di insuccessi diagnostici per problemi di coltura è la medesima. Non si vede pertanto il motivo di preferirla alla biopsia dei villi coriali qualora si volessero ottenere risposte in tempi veramente precoci.
Per ciò che concerne le problematiche della coltura e della refertazione esse non sembrano differire da quelle dell’amniocentesi precoce.
Per ultimo va accennato all’attuale possibilità di ottenere un referto diagnostico in tempi brevissimi ricorrendo all’esame degli amniociti, direttamente in metafase, con la tecnica della ibridazione mediante fluorescenza in situ (FISH), della quale parleremo in seguito nel capitolo dedicato alla biologia molecolare.
Amniocentesi precoce
Citogenetica prenatale
L’amniocentesi eseguita tra la 16^ e la 18^ settimana rappresenta a tutt’oggi la metodica più frequentemente utilizzata ai fini diagnostici di citogenetica prenatale. Come si è detto il rischio abortivo della tecnica si aggira, nel nostro Centro, mediamente intorno allo 0.2%.
Di tale percentuale si deve tener conto quando si valuta il rischio/beneficio della procedura diagnostica. Il rischio abortivo va infatti comparato con le percentuali di anormalità cromosomiche per l’età. Va inoltre considerato che la percentuale di anomalie riscontrate nelle procedure è sempre maggiore rispetto alla nascita. Tra le metodiche più precoci, sono caratterizzate da un maggior numero di riscontri patologici. Ciò è dovuto ad una selezione naturale operante durante la gravidanza per i feti patologici. Esistono comunque una serie di problematiche delle quali conviene tener conto.
La prima è data dall’insuccesso della coltura, cosa che avviene in 1 caso su 300 (nel nostro Centro).
La seconda è dovuta alla possibile contaminazione del liquido amniotico con materiale materno. Tale errore, secondo alcuni studi, avviene molto raramente (0.3%) se si ha l’accortezza di gettare le prime gocce di liquido che fuoriescono dall’ago. Tale errore non si è mai verificato nel nostro Centro.
La terza è il riscontro di aberrazioni cromosomiche generantesi in vitro, durante la coltura, note come pseudomosaicismi. Queste sono solitamente isolate ad un unico clone cellulare, ma presenti in un’unica coltura e solitamente si tratta di anomalie talmente bizzarre, come le tetraploidie che non sono riscontrabili in natura sui vivi.
Errori ed artefatti a parte, c’è la possibilità che le sole cellule del liquido amniotico siano portatrici di un vero mosaicismo assente poi negli altri tessuti fetali. Tale casualità, molto frequente nei villi coriali, risulta estremamente poco probabile negli amniociti. Il riscontro di un mosaicismo nell’amniocentesi deve di solito essere considerato come mosaicismo fetale essendo confermato in oltre l’80% dei casi.
Vi è inoltre da segnalare la presenza di alcune rare sindromi in cui l’anomalia dei cromosomi non è presente in tutti i tessuti ma esclusivamente in alcuni di essi.
I veri problemi insorgono quando si riscontrano anomalie cromosomiche particolari, per le quali siamo sicuri della tecnica, ma non conosciamo l’espressività fenotipica. Si tratta il più delle volte di piccoli cromosomi sovrannumerari, inversioni, traslocazioni apparentemente bilanciate, che interessano essenzialmente gli autosomi. L’indagine sui genitori è di grande ausilio poiché, spesso, riscontriamo la stessa anomalia in uno di essi. Qualora ci trovassimo di fronte ad una mutazione “de novo” avvenuta nel feto, vale la pena, ove possibile, eseguire attenti bandeggi o utilizzare sonde per micromappature geniche onde poter stabilire se nella traslocazione o inversione vi sia stata perdita di materiale. Quando non si abbia a disposizione un laboratorio in grado di eseguire esami di tale tipo, oppure se tali esami richiedessero un tempo di esecuzione tale da renderli inutili al punto di non poter fruire dell’informazione ai fini prenatali, si informi che il rischio empirico che il feto sia portatore di un’anomalia è stimato intorno al 10-20%. Una accurata ecografia morfologica è sempre indicata.
Per quel che concerne le numerose alterazioni che si associano ai cromosomi sessuali ( es. 45,x ; 47,xxx ; 47,xxy ; ecc) i genitori vanno informati che il più delle volte sono compatibili con un fenotipo perfettamente normale. Spesso è presente sterilità ma il ritardo psico-fisico è scarso ed incostante.
Benchè attualmente vi sia la tendenza a sostituire progressivamente l’amniocentesi precoce con la precocissima anticipando l’epoca del prelievo alla 14^ settimana, le problematiche citogenetiche non sembrano sostanzialmente cambiare.
Tra le condizioni parentali che inducono ad eseguire la diagnosi prenatale va considerata la presenza di un precedente figlio affetto da una cromosomopatia. Per quanto ci è oggi noto, il rischio per un secondo figlio non aumenta in nessun caso qualora il cariotipo della coppia genitoriale risulti del tutto normale. Diverse e più complicate risultano le probabilità legate alla presenza, nei genitori, di anomalie del cariotipo. Queste vanno analizzate una per una in modo da poter fornire ai genitori delle informazioni specifiche.
Traslocazioni robertsoniane.
Le traslocazioni tra due cromosomi acrocentrici (numeri 13, 14, 15, 21 e 22) sono chiamate traslocazioni robertsoniane. È noto che nei Down, la cui alterazione risulta da una traslocazione sbilanciata (per esempio 46xx, -14,+t.14q;21q.) uno dei due genitori ha la stessa traslocazione, ma in modo bilanciato dal 25% al 50% dei casi. Il rischio teorico, pertanto, di un genitore che presenta una traslocazione bilanciata del tipo 14q;21q, di avere un figlio Down, è piuttosto elevato. In effetti però la reale incidenza dell’anomalia è bassa. Il calcolo empirico ha dimostrato che quando è il padre, ad essere portatore della traslocazione, il rischio è al massimo del 2%, mentre se la traslocazione è portata dalla madre, il rischio sale al 10-15%.
Un rischio analogo è presente anche in tutte le traslocazioni robertsoniane che interessano il cromosoma 21, quali la 13/21, la 15/21, la 21/22.
Nelle traslocazioni 13q;14q, la più comune tra le traslocazioni robertsoniane, il rischio empirico risulta inferiore all’1%.
Le traslocazioni reciproche sono rare. Esse non coinvolgono la fusione centromerica ed i cromosomi acrocentrici. Come è stato visto anche per le traslocazioni robertsoniane il rischio teorico è di solito maggiore che il rischio empirico, il quale, per le varie possibilità di alterazione del nascituro, si calcola attorno al 12%.
In questi casi infatti vi è un’alta possibilità di selezione naturale dei feti con anomalie più sbilanciate.
Inversioni
Aneuploidie
La possibilità che uno dei genitori presenti un’anormalità del numero dei cromosomi, detta aneuploidia, è piuttosto rara. Ciò in relazione al fatto che molte di queste condizioni si accompagnano a sterilità, come ad esempio avviene nel maschio Down. Va inoltre detto che le aneuploidie si accompagnano a modificazioni spesso sostanziali del fenotipo, tali da rendere la vita di relazione e la possibilità di generare inferiore alla media. Esistono comunque delle situazioni, quali i mosaicismi, nelle quali ci si trova di fronte alla possibilità di una gravidanza. Il rischio è evidentemente piuttosto elevato, empiricamente intorno al 35% per una femmina Down.
Difetti del tubo neurale
Nel liquido amniotico si è usi valutare anche la quantità di alfa-feto-proteina (AFP). Tale sostanza, individuata negli anni ’50 in alte percentuali, incontrò l’interesse degli ostetrici quando ci si avvide dell’aumento della sua presenza nel compartimento materno in relazione a differenti problemi fetali ed in particolare a difetti del tubo neurale: anencefalia, spina bifida aperta, gastroschisi ed onfalocele ed altri difetti “aperti” del tronco fetale. Si tratta di soluzioni di continuo non rivestite da cute, che portano ad un sostanziale incremento di tale proteina nel siero materno.
Partirono così numerosi programmi di screening, in Inghilterra e negli Stati Uniti(68, 69). Studi che mostrarono accuratezze elevatissime nello screening dei difetti del tubo neurale.
Ben presto iniziarono però le critiche a tale metodo, che risulta influenzato da troppe variabili e caratterizzato da un elevato numero di falsi positivi e negativi. Al giorno d’oggi nessuno riterrebbe il dato di elevati valori di AFP sufficiente per la diagnosi di anomalia fetale. L’ecografia morfologica appare estremamente più sensibile ed accurata. È inoltre ampiamente dimostrato che alti valori di AFP nel sangue materno non necessitano assolutamente di un approfondimento diagnostico mediante amniocentesi qualora l’esame ecografico risultasse negativo.
I valori di AFP nel liquido amniotico possono inoltre non essere precisi, aumentare sensibilmente se il prelievo è ematico; dipendere in larga misura dal peso materno (per fattori di distribuzione), dalla razza, dalla presenza di malattie materne, quali il diabete.
Il dosaggio dell’AFP nel liquido amniotico appare oggi complementare ad altre più importanti e dirette valutazioni sul liquido stesso ed assolutamente inferiore per screening all’ecografia. In una casistica personale di 74 casi di valori elevati di AFP nel LA, anche diverse volte multipli della mediana, ma ecograficamente negativi, nessuno di questi presentava alla nascita un’anomalia del tubo neurale.
Fino a pochi anni or sono, alcuni insistevano sulla prognosi negativa di alti valori di AFP nel siero materno solo quando questi erano superiori a 5 multipli della mediana. In tali casi, le complicanze risultavano le più diverse e non soltanto legate ad anomalie del tubo neurale, ma anche ad anomalie placentari e complicanze ostetriche diverse. Secondo tali Autori il valore predittivo di un evento sfavorevole in gravidanze portatrici di valori di AFP oltre gli 8 MoM (nel secondo trimestre di gravidanza) è di circa il 23%(71).
Inoltre gli Autori ricordano che il dato biochimico non fornisce mai una diagnosi di conferma essendo necessario sempre un dato ecografico. Il dosaggio aggiuntivo dell’acetilcolinesterasi aggiunge credibilità al metodo ma manca sempre di certezza.
Malattie geniche
Malattie infettive
Sempre nel secondo trimestre di gravidanza accade di dover diagnosticare la presenza di eventuali malattie infettive.
L’introduzione delle metodiche di amplificazioni genica ed in particolare della reazione a catena della polimerasi (PCR), permette oggi di riconoscere, amplificandole, anche piccole sequenze di materiale genomico dell’agente infettivo. Si ha così a disposizione una tecnologia diagnostica estremamente sensibile nel riconoscere la presenza dell’infezione anche in tessuti diversi da quello che l’agente stesso preferisce colonizzare.
La ricerca dell’infezione da virus citomegalico nel liquido amniotico è una applicazione molto valida di tale tecnica.
La nostra casistica (dati personali in via di pubblicazione) dimostra l’assoluta superiorità in termini di accuratezza diagnostica dell’amniocentesi nella diagnosi di infezione da Citomegalovirus rispetto alla stessa indagine condotta sui villi coriali e soprattutto sul sangue fetale. La differenza diviene tanto più evidente quanto più tempo è trascorso dalla data dell’infezione. Ciò probabilmente è in relazione alla persistenza del virus nelle vie escretrici renali e quindi nel liquido amniotico.
Gli stessi risultati non sono ottenibili sulle infezioni da virus rubeolico o da Toxoplasma per i quali il riscontro nei villi coriali appare più persistente e nel sangue fetale più accurato sempre però tenendo conto dei limiti temporali in cui l’agente infettivo è presente nel sangue. La ricerca nel liquido amniotico del Parvovirus B 19, agente infettivo sempre più implicato nel determinismo di idrope ed ascite fetali nonché in infezioni multiple, sembra invece più promettente.
Si consideri comunque che la diagnosi molecolare delle malattie infettive anche sul liquido amniotico presenta comunque il vantaggio di non incorrere in false positività. La scelta del tessuto dove applicare la PCR deve essere estremamente attenta e razionale poiché si tratta oggi di ricercare direttamente il materiale infettivo e non più i segni indiretti dell’infezione (movimenti anticorpali, ecc.)
Infiammazioni in utero
L’esistenza di un’infezione endoamniotica è anche causa di diverse patologie che possono impedire un buon svolgimento della gravidanza. Per questo, infatti, sta prendendo sempre più piede la ricerca sul liquido amniotico di alcune sostanze mediatrici della flogosi quali le CITOCHINE. In particolare e la ricerca dell’INTERLEUCHINA-6 sul liquido amniotico presenta una straordinaria efficacia della diagnosi predittiva di numerose patologie del feto in utero. Per conoscere una bibliografia aggiornata su questo argomento clicca qui (tale bibliografia è destinata alla consultazione del medico)
Amniocentesi tardiva
Il prelievo di liquido amniotico eseguito nell’ultimo trimestre di gravidanza può ovviamente comprendere tutte le indicazioni già esposte per le precedenti ma solitamente si prefigge fini più specifici e mirati a diverse problematiche.
Tra queste vale la pena di prenderne in considerazione almeno due:
- L’immunizzazione materno-fetale.
- La valutazione dello stato di maturità polmonare
L’immunizzazione materno fetale
L’isoimmunizzazione materno-fetale rappresentò, prima dell’introduzione della profilassi con immunoglobuline specifiche nel 1968, una delle più gravi e temibili complicanze della gravidanza con un enorme tributo di vite in termini di poliabortività e di morti intrauterine.
L’etiologia dell’immunizzazione risiede nello scatenarsi del sistema immune materno nei confronti degli antigeni ematici fetali quando sussistevano le seguenti condizioni:
- Incompatibilità del sistema Rh (allele D) con madre Rh-neg e feto positivo.
- Passaggio di sangue in senso feto-materno
Per tale condizione si è anche cercato di stabilire in passato la quantità di sangue necessario affinché tale risposta immunitaria avvenga. L’esame della letteratura, vecchia oramai di quasi trent’anni, indicava in dosi variabili, dai 3 ai 10 ml la quantità minima necessaria. Si segnalavano comunque eccezioni.
Esistono poi delle condizioni ancillari :
- Maggiore è l’emorragia feto-materna, maggiore sarà il rischio di sviluppare l’isoimmunizzazione.
- La seconda gravidanza è a maggiore rischio in considerazione del periodo intercorso atto a sviluppare una risposta immune secondaria, più grave, per il fenomeno della sensibilizzazione.
- Il gruppo materno e quello fetale giocano un ruolo molto importante poiché si è notato che le isoimmunizzazioni materno-fetali per il fattore Rhesus sono più rare se esiste una incompatibilità ABO.
- L’immunizzazione, prima dell’introduzione della profilassi, era presente in circa l’8% delle madri Rh negative che davano alla luce figli Rh-positivi. Tale dato aumentava di un altro 8% alla seconda gravidanza. Se esisteva incompatibilità ABO, come si è detto, la frequenza diminuiva all’1/2%.
- La trasfusione feto-materna avviene in 3 gravidanze su 4. Solitamente molto modesta, pochi ml, solo raramente risulta maggiore dei 30 ml che rappresentano la quantità massima neutralizzabile dalla dose standard di 300 microgrammi di immunoglobuline anti D.
- L’entità dell’immunizzazione sembra essere dipendente dalla quantità del sangue trasfuso.
- Alcune condizioni ostetriche quali il distacco di placenta, le emorragie da minaccia d’aborto, ecc., aumentano il rischio di sensibilizzazione. Rischio aumentato anche per le procedure di diagnosi prenatale quali la amniocentesi e la villocentesi.
L’insorgere di una condizione di immunizzazione produce un’anemia fetale a causa della emolisi prodotta dagli anticorpi materni sull’antigene Rh disposto sulla membrana dei globuli rossi.
Quando i globuli rossi sono distrutti, rilasciano emoglobina che viene convertita in bilirubina indiretta.
In condizioni normali la bilirubina nel liquido amniotico deriva dalla trachea e dal polmone fetale e solo raramente, come si è detto in precedenza, da cause materne (iperbilirubinemia materna). Bisogna sempre fare attenzione a non esporre il liquido amniotico alla luce solare prima di analizzarlo allo spettrofotometro, giacché la luce altera il pigmento bilirubinico.
Lo stato di emolisi fetale è determinato ponendo il dato derivato dalla misurazione delle densità ottiche comparate verso parametri noti.
Attualmente però nel nostro Centro preferiamo eseguire la funicolocentesi e studiare direttamente lo stato di anemia fetale.
L’informazione che essa ci fornisce è infatti più diretta della stessa valutazione del dosaggio della bilirubina nel liquido amniotico.
La comparsa, all’ecografia, di ascite od anasarca va intesa sempre come dato di massima severità.
La maturità polmonare fetale
Nel 1971 Gluck presentò i suoi primi dati sulla correlazione tra maturazione polmonare fetale e presenza di surfattante nel liquido amniotico. Prima di questa data la valutazione della maturità fetale non si basava su alcun dato certo. L’esperienza clinica insegnava già che la maturità si raggiungeva presso il termine della gravidanza ma per conoscere la datazione del parto ci si basava semplicemente su dati anamnestici, spesso imprecisi, e sulle dimensioni dell’addome fetale, estremamente variabili in relazione a fattori dipendenti dalla crescita e dallo sviluppo.
La presenza di surfattante nel liquido amniotico deriva dal continuo scambio tra questo compartimento e gli alveoli polmonari.
Lo studio qualitativo, più che quantitativo dei fosfolipidi disciolti nel liquido amniotico riflette le diverse fasi del processo maturativo. Dopo la 35^ settimana, infatti, il contenuto di lecitina sale improvvisamente, mentre la sfingomielina raggiunge un plateau ed addirittura può decrescere a gravidanza avanzata.
Il rapporto lecitina/sfingomielina permette di apprezzare la attività di produzione del surfattante dei corpi lamellari da parte dei pneumociti di secondo ordine.
La struttura di base dell’alveolo polmonare è costituita da una intricata rete di capillari, disposta a modo di canestro, all’interno della quale vi è un rivestimento di un sottile stato di cellule monostratificate: i pneumociti di primo ordine. Tra questi se ne differenziano alcuni per il loro aspetto cuboide, i pneumociti di secondo ordine, questi, come si è detto, sintetizzano surfattante.
Il surfattante è una miscela di composti tensioattivi che permette agli alveoli di mantenersi dilatati.
Solo 4 dei molti fosfolipidi presenti nel surfattante sono valutati al fine di stabilire la maturità polmonare.
La lecitina è il fosfolipide più largamente rappresentato, costituendo circa il 50-70%: essa tende a saturarsi progressivamente durante tutta la gestazione. All’inizio si pensava che la lecitina svolgesse il ruolo di surfattante. Le attuali conoscenze sul fosfatidilinositolo (PI) ed il fosfotidilglicerolo (PG) attribuiscono a questi la funzione di stabilizzatori del composto. La lecitina pertanto deve essere intesa come il maggior componente fosfolipidico del surfattante ma non è il surfattante stesso. In particolare la comparsa nel liquido amniotico del PG stabilizza il surfattante e rappresenta in definitiva la sostanza che determina ed indica la raggiunta maturità polmonare.
La mancanza di tali requisiti conduce, alla nascita, all’insorgenza della ben nota e temuta sindrome da distress respiratorio (RDS) ed in seguito alla comparsa in percentuali diverse delle membrane ialine polmonari.
Si consideri che a tutt’oggi la mortalità per tali problematiche si mantiene piuttosto elevata.
Il miglior modo di valutare la maturità polmonare è quella di calcolare il cosiddetto profilo polmonare misurando nel liquido amniotico prelevato con l’amniocentesi tardiva il rapporto lecitine/sfingomieline e la percentuale di fosfatidil-inositolo (PI) e di fosfatidil-glicerolo (PG).
In considerazione degli straordinari progressi della neonatologia feti sempre più prematuri sono trattati con successo dopo la nascita. Di conseguenza, per ragioni pratiche, il numero dei feti che per poter nascere necessitano di un accurato profilo polmonare è sempre più ridotto. All’occorrenza ci si orienta perciò su test meno accurati ma anche meno costosi e più semplici che possono essere eseguiti in ogni momento del giorno e della notte per praticità e semplicità di esecuzione.
Tra questi noi preferiamo eseguire il test spettrofotometrico di Sbarra. Tale test necessita di una semplice analisi del campione di liquido amniotico, prelevato tramite amniocentesi, ed esaminato ad una lunghezza d’onda di 650 nm, azzerando lo strumento con l’acqua distillata. Il valore che si ottiene è da mettere in relazione con il valore del rapporto lecitine/sfingomieline ed è pertanto un discreto indice di maturità polmonare.
L’indicazione più frequente
In considerazione dell’attuale, documentata, assenza di rischio nelle amniocentesi eseguite da operatori esperti e con profilassi antibiotica (fonte www.amniocentesi.it) l’indicazione più frequente per le amniocentesi è la volontà dei genitori di conoscere lo stato genetico, cromosomico e, in genere di salute del proprio figlio.
Non vi è oggi motivo di negare tale procedura a nessuna coppia, ove non esistessero particolari controindicazione (gravi minacce di aborto, infezioni in atto, ecc).
Presenze di dubbi o anomalie ecografiche
Il riscontro ecografico di una anomalia oppure di un dubbio di anomalia fetale impone oggi il ricorso all’approfondimento diagnostico mediante villocentesi/amniocentesi. Più il dubbio è specifico più la ricerca sarà specifica.
Più il dubbio è generico più si dovrà ricorrere ad indagini ampie e sofisticate.
Grazie all’introduzione, nel nostro centro, della metodica NGS Next Generation Sequencing, si può arrivare ad indagare fino agli estremi confini della conoscenza del DNA umano.